– L’amore finisce e il convivente deve liberare la casa che appartiene al partner, anche se ci vive con un minore –

L’amore finisce e il convivente deve liberare la casa che appartiene al partner, anche se ci vive con un minore, che però è nato da un suo precedente matrimonio.

La coppia di fatto è di per sé più «precaria», ma soprattutto non si può riconoscere a ciascuno dei suoi partner più diritti di quanti spettano allo stesso coniuge: in caso di separazione e divorzio, infatti, non c’è assegnazione della ex casa coniugale se non per salvaguardare l’habitat dei figli della coppia, non quelli nati da unioni precedenti. È quanto emerge dalla sentenza 25319/14, pubblicata dalla prima sezione civile del tribunale di Roma (giudice Monica Velletti).

Assimilazioni escluse
Non trova ingresso la tesi della donna secondo cui il diritto di abitare nella ex casa familiare si configurerebbe perché il convivente deve essere qualificato come autonomo detentore dell’immobile e non come ospite o occupante precario.

Diversamente, osserva il giudice, si verrebbe a creare una disparità di trattamento fra la coppia di fatto e quella sposata, paradossalmente a vantaggio della prima: l’assegnazione della casa familiare è diretta in via esclusiva a tutelare l’esigenza dei figli a rimanere dove sono abituati a vivere ma l’ordinamento punta a proteggere soltanto i figli nati dalla coppia che si è lasciata; tanto che, quando non ci sono figli minorenni o maggiorenni ma non autonomi dal punto di vista economico, non risulta ammissibile un provvedimento di assegnazione a favore del coniuge, anche se più debole, inteso come componente in natura dell’assegno di mantenimento.

E ciò anche se la convivenza more uxorio sta trovando sempre maggiori riconoscimenti (più della giurisprudenza di legittimità che dal legislatore italiano, invero).

Anche grazie alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo la coppia di fatto deve ritenersi tra le formazioni sociali tutelate dall’articolo 2 della Costituzione. Ma attenzione, avvisa il giudice, «non può essere equiparata alla famiglia fondata sul matrimonio»: la convivenza more uxorio, si legge in sentenza, è per sua natura precaria perché si può sciogliere per volontà di uno dei due partner e non è «non suscettibile di creare diritti e doveri in capo ai conviventi assimilabili a quelli propri dei coniugi se non nei limitati casi in cui il legislatore abbia compiuto tale equiparazione, da ultimo nell’articolo 342 bis Cc», vale a dire quanto il legame affettivo non è ancora cessato e il convivente può vantare nei confronti di terzi legittime aspettative, ad esempio il diritto al risarcimento del danno in caso di morte del partner.

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